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Tango – Un po’ di storia

Quando invece più di cento anni or sono, nelle nascenti metropoli del Rio de la Plata, comparve il Tango Argentino, fu subito chiaro che quello che irrompeva nella storia non era un corpo sociale, ma il corpo tout court, il corpo soggettivo ed individuale, fatto di carne, sangue e desiderio. Dopo una prima fase dominata dalla sensualità, una specie di sorpresa di trovarsi abbracciati senza mediazioni, il Tango si è via via sviluppato in una miriade di stili, di posizioni, di figure, di passi, ovvero in tutto un repertorio di variazioni sul tema dell’abbraccio. Oggi, come cento anni fa, un uomo e una donna si avvinghiano stretti per camminare insieme lungo una vita concentrata in tre minuti. Questi due loro corpi uniti esprimono, come un milonguero diplomato suole spesso dire, la necessità dell’abbraccio, la necessità di non rimanere soli, di scappare dai venti di guerra, dalla schiavitù, dalla miseria e dal dolore, dall’impotenza a cambiare il proprio destino.

di Marco Castellani – storico del tango

Tango, milonga, candombe, conga, rumba, pachanga, bailongo, mondongo, mandinga, corimbo: sono termini di radice africana che circolarono in tutti i paesi schiavisti.
Sembra che il termine tango designasse il porto dell’Africa dove i trafficanti raccoglievano i cosiddetti “pezzi d’ebano”, e anche il posto in terra americana dove li vendevano. Ma lo si può anche spiegare come la deformazione della parola “tambor” tamburo, strumento immancabile della musica nera (anche se estraneo al tango), che per estensione designava i luoghi dove si erano insediati i neri.
Nella pronuncia kimbumba il termine “tambor” diventa tambò, poi tangò e successivamente l’accento, da tronco si fa piano, fissandosi come “tango”.

“T come Tango” di Meri Lao

Il tango è nato nelle feste popolari di Buenos Aires poi, rifiutato dalla buona società, si è affermato nei bordelli e nelle “accademie” (sale da ballo di fine secolo) dei bassifondi cittadini. La tradizione, cioè il mito, vuole che il tango sia germogliato nei quartieri del porto ma cresciuto nei lupanari. Conquistò una legittimità quando Parigi e l’Europa lo riconobbero. Allora si diffuse in tutto il mondo.

“Tango” di Rèmi Hess

Il tango è un’espressione estetica della marginalità, un’espressione culturale dell’immigrazione, dei sobborghi di Montevideo e soprattutto di Buenos Aires. Questa marginalità occupa un luogo: il porto, da cui il nome di tango porteño.

… Quali sono i confini del ruolo della donna nel tango?…
Il tango è una danza molto complessa, con origini oscure, oggetto di numerosi studi e ricerche. E’ complessa in quanto due ballerini “abbracciati” devono cercare di realizzare figure, pause, movimenti, cortes y quebradas nei confini e nei tempi di una coreografia che include entrambi. … Il fatto che un uomo e una donna, esseri così diversi tra loro, che tante volte neppure si conoscono, possano ballare abbracciati seguendo il ritmo della musica, creando e ricreando una bella danza non può non stupirci: c’è qualcosa di meraviglioso in ciò che avviene. La meraviglia di due esseri che sono riusciti a mettersi d’accordo in qualcosa di così difficile da realizzare. …. Ballando uomo e donna cercano di trovare una coincidenza nelle loro sensibilità. Non sarà possibile che ciò avvenga e funzioni senza un accordo profondo in entrambi: e questo accordo comincia con l’accettazione della regola che l’uomo conduce e propone. Come mai questo fatto viene visto come subordinazione, sottomissione e passività da parte della donna? Costruendo i rispettivi ruoli, ciascuno realizza qualcosa di diverso. Nel tango vengono espresse chiaramente la differenza di ruoli, la coordinazione e la cooperazione di entrambi, senza perdere il senso della differenza. Lasciarsi portare dall’uomo non vuol dire subordinarsi o essere sottomessa o dominata da lui: vuol dire invece accettarne la guida per potere ballare. …. Uomo e donna devono accettare le regole del gioco necessarie per ballare: entrambi devono sottomettersi a esse. …. Entrambi i partner hanno bisogno l’uno dell’altro ed entrambi devono attenersi alle regole del gioco. … E’ chiaro che una delle chiavi della posizione della donna per ballare il tango è quella di lasciarsi portare. …che non significa come spesso viene equivocato, avere un ruolo sottomesso…. Lasciarsi portare dall’uomo non è “subordinarsi” a lui. L’uomo da solo non può ballare un tango e neppure può farlo una donna. … Una donna che si lascia portare da qualsiasi parte, come una foglia al vento, e che non offre una lieve tensione al segnale, cioè che non mette in gioco il suo modo di ballare, è probabile che non riesca a dilettarsi del ballo e che diventi una difficoltà per l’uomo. Il lasciarsi portare è attivo, vuol dire porre la propria sensibilità con lo scopo che riesca bene il tango…. Per goderne e per accompagnare l’uomo in ciò che vuole fare. … E’ possibile osservare gi effetti benefici del ballare il tango nella maggior parte delle donne: la loro postura migliora, acquisiscono equilibrio e fermezza nel corpo. In generale le migliori milongueras sanno lasciarsi portare, …. E mostrare il proprio stile. Queste abilità favoriscono naturalmente anche l’espressività dell’uomo, che non si sente limitato dalla partner, ma, al contrario, gratificato dall’abilità e creatività dispiegate dalla donna negli spazi che lui le affida.

“Il tango sentimento di filosofia e di vita” di Elisabetta Muraca che traduce all’interno del suo libro un intervento di Lidia Ferrari, argentina, psicanalista ricercatrice all’Università di Buenos Aires, ballerina e insegnante di tango.

A Buenos Aires la parola “milonga” ha molti significati: è nello stesso tempo un tipo di pane, una scansione ritmica di 2/4 imparentata con l’habanera cubana, una vivace danza di coppia per certi versi simile al tango primitivo, o semplicemente un notevole pasticcio. …. Milonga è il nome con il quale si indica il luogo dove si balla il tango: Sunderland, Sin Rumbo, Club Al magro, Canning, Tierrita, sono i nomi delle milonghe che hanno fatto storia in questi ultimi anni. Andare alla milonga, o milongueare, vuol dire andare a ballare in una “tanguerìa” (balera, la chiameremmo noi in Italia), che spesso consiste solamente di uno stanzone vuoto, con una pista circondata da sedie e tavolini di recupero. Le milonghe sono locali notturni, aprono generalmente tra le 23 e mezzanotte e chiudono all’alba, ma non mancano esempi di milonghe pomeridiane, o addirittura mattutine, così come esistono milonghe estive all’aperto, milonghe coniugali e milonghe per cuori solitari. I frequentatori abituali, per non dire dipendenti, della milonga sono denominati “milongueros”. Parafrasando Balanchine potremmo dire che i milongueros sono coloro che non vogliono ballare, bensì quelli che devono ballare. Nulla ha più importanza del ballo: unico metro di valutazione di una milonga è la qualità dei ballerini che ci vanno e la musica proposta. I milongheros non sono professionisti, essendo le loro attività diurne del tutto comuni. Quando danzano lo fanno per se stessi….

.. la tensione parte con l’ingresso in sala, allorchè ha inizio il gioco degli sguardi. Ci si siede, si cambiano le scarpe e si attende che qualche sguardo incroci il proprio. A prima vista quello della donna può sembrare un atteggiamento passivo, e in effetti un osservatore estraneo al rituale può stupirsi nel vedere, in alcune sale, il gruppo delle donne seduto in una zona diversa da quella dove siedono gli uomini, che le osservano con occhi indiscreti. L’uomo argentino infatti non si avvicina al tavolo per invitare la donna, e anche questo fa parte del rituale, perchè un rifiuto sarebbe troppo rischioso per la sua immagine: l’uomo cabezea, vale a dire che fa un cenno col capo, e se c’è accettazione dell’invito ci si incontra in pista. Ovviamente perchè questo possa avvenire, la donna deve guardare anch’essa attivamente, deve cercare anche lei lo sguardo invitate. … Un’altra regola fondamentale è che durante il ballo non si parla: sarebbe un sacrilegio. Spesso i milongueros, uomini e donne, ballano una tanda (serie di brani musicali dello stesso ballo, per esempio tanda di tango, tanda di milonga, tanda di vals oppure dello stesso esecutore, per esempio tanda di Pugliese) senza sapere neppure il nome di coloro che stanno abbracciando. Si comunica con il corpo, e non intendo solo quella particolare forma di segnali (marcas) che l’uomo dà per guidare la donna, ma tutta la trasmissione di sentimento, evocato dalla musica, che scorre da un corpo all’altro senza soluzione di continuità. …

Non sappiamo chi portò il bandoneòn al tango, ma certo che questo avvenne via mare, parallelamente alla nascita del tango. Orfano di un destino musicale, il bandoneòn fu inventato come una sorta di organo portatile per la celebrazione dei defunti e nell’Alta Germania, sua culla natale, veniva impiegato per accompagnare le danze paesane. Un paio di decenni più tardi arrivò al tango, dopo essere giunto al Rio de la Plata. Ci arrivò timidamente, quasi mettendo alla prova le dita dell’esecutore ed i temperamenti locali. A quel tempo non aveva ancora raggiunto il corpo sonoro definitivo che conquistò quando passò dai 44 o 53 tasti ai 71 bottoni che Alfred Arnold gli assegnò nella Gernamia natale, convertendolo nel famoso bandoneòn doble a 142 voci. Grazie alle possibilità dello strumento ed alla digitazione dei musicisti passò anche da un suono lineare (producendo il suono solo all’apertura dello strumento con prevalenza degli acuti) al diatonismo (emettendo un suono in apertura ed uno in chiusura) che, apportando variazioni e fraseggi, trasformò il tango in ansimante e abissale, lascivo e goliardico. I musicisti rioplatensi inventarono tutto, il metodo, la liturgia notturna, un modo di sentire i suoi lamenti innamorati in armonia con il violino, con il piano, con il contrabbasso. Potremmo dire che il tango fece del bandoneòn uno strumento per sè; a partire dalla sua incorporazione al tango, la produzione di bandoneòn ebbe questa musica come unico destino. … A partire dal 1900 l’incorporazione del bandoneòn al tango divenne definitiva. Questo strumento portò un fuoco indugiante ed appassionato, più adatto del flauto per esprimere il sentimento di sradicamento che caratterizzava l’affermazione musicale rioplatense. La sua presenza sigillò la forma melodica del tango trasformandosi in un centro gravitazionale per le future orchestrazioni. Il suo suono ha una tale ricchezza comunicativa che Homero Manzi potè scrivere: Lo spirito del tuo suono, bandoneòn, si impietosisce del dolore altrui…

Per chi si avvicina al tango, o come spettatore o per imparare a ballare, è molto difficile avvertire le differenze di stile. I gruppi di tango, il tempo (grande maestro!), l’esperienza, le ore passate a ballare in pista, i differenti luoghi di tango visitati, le persone con le quali si balla e i diversi insegnanti coi quali si apprende a ballare, vanno via via arricchendo la propria conoscenza. Con questa progressiva conoscenza del mondo del tango si affina la capacità di osservare e si comincia ad apprezzare differenze e variazioni che prima non si notavano: gradualmente si comincia a riconoscere una diversità negli stili. Oggi c’è una grande discussione sugli stili del tango. Il problema delle discussione fanatiche sugli stili di tango sta nel fatto che a volte sono proprio le persone con meno esperienza a prendere partito in maniera superficiale. La cosa certa è che il tema non è di vitale importanza per chi è appena agli inizi. Non si deve fare confusione fra gli stili del tango, intesi come quei modi di ballare il tango che si sono man mano stabilizzati, con lo stile personale che ognuno acquisisce nel ballo. Il proprio stile personale non è influenzato solamente dal maestro con cui si è imparato. I maestri indicano un cammino, ma esistono altre variabili che influenzano il proprio modo di ballare: personalità, abilità, senso musicale, attitudini, caratteristiche fisiche, sensibilità, gusti, affinità, cultura estetica; questi sono gli aspetti che plasmano non solo lo stile di tango che si balla, ma anche il proprio stile come persona. E’ difficile raggiungere un proprio stile personale senza essere passati attraverso una esperienza ricca di pratica, di apprendimento, e di frequentazione di milonghe. Una cosa è imitare lo stile di un maestro, altra cosa è acquisire un proprio stile personale. Ma lo stile personale si costruisce col tempo e con la esperienza. E’ come la costruzione di una casa: dobbiamo cominciare dalle fondamenta. Gli abbellimenti, le decorazioni verranno in seguito. Nessuno può collocare i quadri prima di aver costruito le pareti. Per questo sono importanti buone e solide fondamenta. Dunque, quando si discute di stili o modi codificati di ballare il tango (milonguero, de salon, fantasia, canyengue, etc.) si tende a considerarli come qualcosa di statico, come se da quando si inventò il tango, fossero già stati chiaramente definiti. Così come ogni ballerino costruisce il suo modo di ballare con gli anni, allo stesso modo gli stili che si sono andati codificando non sono stili creati e imbalsamati una volta per sempre. Sono il frutto di laboriose costruzioni di arte popolare collettiva, che si trasformano nel tempo. In un’epoca in cui prevale il tango da spettacolo, i grandi maestri possono venire da lì. Poi può arrivare il tempo in cui cominciano a fiorire le milonghe e alcuni maestri nascono in questi spazi.

A loro volta questi differenti stili si mescolano, si modificano, crescono, si consolidano e allora quello che crediamo essere uno stile autentico dalle origini, in realtà non è che una trasformazione nel tempo e nelle persone, il che non lo fa meno vero. Sarebbe un bene che le polemiche sugli stili non impoverissero il tango, come accade quando in realtà sono in gioco mercati potenziali o orgogli personali. Sarebbe più proficuo che la discussione sugli stili si sviluppasse per approfondire le conoscenze e per arricchire il tango. In generale gli stili nascono dalle modificazioni originate dai valori culturali e dalle condizioni sociali degli ambienti dove si balla.

Nella tappa di consolidamento del tango, il modo di ballarlo subisce importanti cambiamenti. Josè Gobello cita Viejo Tanguero, cronista del quotidiano “Critica de Buenos Aires” che nel 1913 dice: “In questo quartiere il tango ha subito grandi innovazioni, modificando non solamente le sue figure ma anche la sua elasticità e sinuosità , che furono la caratteristica interessante delle origini. Interpretato da ragazze per la maggior parte italiane, che non si adattavano al movimento che i creoli autentici imprimevano al ballo, a quel tango fu posto il nome di “tango liso”.

Il cambiamento nel modo di ballare divenne quasi generale e perse l’aspetto originario. Per questo motivo molti di coloro che ballavano in quel quartiere riempivano le scuole di ballo. Tuttavia famosi ballerini, come “el flaco Saul” si identificavano nei due stili e ballavano con la stessa facilità nell’una o l’altra milonga”. Le polemiche di allora non sono le stesse di oggi. Gli stili permangono e, a volte, si modificano. Per esempio, attualmente, le polemiche sui differenti stili non sono legate a ragioni di moralità o di pregiudizi culturali. Tuttavia gli stili continuano il loro cammino di trasformazione, così come le polemiche continuano, ma il tango vive.

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